Dopo un paio di mesi in India abbiamo deciso di fare qualcosa di un po ‘ diverso.
Andiamo a fare un pò di volontariato tra i giovani indiani, e proviamo a vivere l’India che non si vede nei viaggi normali.
E così da Varanasi abbiamo preso un treno verso Adari, un paesino sperso nell’Uttar Pradesh dove gli occidentali non si fanno vedere.
Chaitanya Kul e Workaway
Siamo andati a passare qualche giorno a Chaitanya Kul. Non è proprio una scuola, più una specie di doposcuola. I ragazzi vanno lì per imparare cose, ma è una cosa completamente volontaria creata da un uomo solo, Satyam. Ci sono circa 30 ragazzi e ragazze dai 10 ai 20 anni.
Tutto è nato da Satyam, che dopo una carriera da ingegnere ha deciso di aiutare i ragazzi che vengono da situazioni familiari difficili a crescere come adulti responsabili, motivati, produttivi.
Non ci sono lezioni nozionistiche come a scuola, ma tanto lavoro per imparare metodi e tecniche, apprendere in modo autonomo, essere indipendenti, fare un percorso di crescita.
Come li abbiamo trovati? Tramite Workaway, un portale che mette in contatto le organizzazioni umanitarie di ogni tipo con i viaggiatori disposti a donare tempo e competenze in cambio di vitto e alloggio. Lo consigliamo se volete vivere esperienze significative, o anche solo risparmiare mentre viaggiate.
I nostri contributi alle attività
Cosa abbiamo fatto nella nostra esperienza di volontariato?
Di tutto un po’, facendo del nostro meglio. Alessia ha dato una mano in cucina. Io ho lavato tanti piatti (cucinare all’indiana richiede un sacco di pentole ad ogni pasto…).
Alessia è stata notata per le sue doti artistiche. I ragazzi hanno visto le sue opere su Instagram e il suo taccuino di acquerelli di viaggio, ed è stata assediata di richieste di workshop.
E così ha fatto un corso base di ricamo, che ha avuto un gran successo tra le ragazze ma anche con vari ragazzi. Sono rimasti ben oltre l’orario previsto a creare le loro opere.
Ha fatto anche un corso di pittura creativa, anche quello con tanti partecipanti entusiasti. E infine anche una lezione di acquerello per i più interessati alla pittura.
Io ho dato una mano su quello che so fare, e ho sistemato un po’ il sito internet del centro. Era un vecchio sito costruito con Wix, e lavorarci è stata una bella gatta da pelare. ma sono riuscito a sistemare alcuni problemi di grafica che erano proprio brutti da vedere.
E poi abbiamo lavorato un sacco al nostro progetto più grande: la presentazione. Ad ogni volontario viene chiesto di insegnare qualcosa ai ragazzi. Deve essere una lezione utile, senza cose “banali” che possono trovare su internet, e raccontata in modo accattivante.
Ci sono volute molte ore e molto impegno, ma alla fine eravamo pronti. Parlare in pubblico, in inglese, per insegnare e intrattenere una ventina di ragazzi e ragazze… una passeggiata!
Abbiamo parlato di noi: lavoro, famiglia, casa. Abbiamo parlato un pò dell’Italia, con tanto di piccola lezione di parole e gesti italiani. Poi abbiamo parlato dei nostri viaggi.
I ragazzi si sono divertiti un sacco a ripetere “Macchu Picchu” e non posso biasimarli: noi abbiamo la stessa reazione e abbiamo superato i 40.
Mentre presentavamo abbiamo capito un po’ meglio pregi e limiti dell’educazione indiana. I ragazzi studiano la rifrazione della luce, usano cellulari e software meglio di noi, imparano online inflazione e ruolo delle banche centrali. Ma, messi davanti a una mappa del mondo, non hanno idea di dove trovare la Turchia, il Marocco, o anche la Cambogia.
Le spiegazioni erano alternate con curiosità e foto dei posti che abbiamo visto. Ci sono anche stati quiz e giochi a punti, che li hanno divertiti e caricati.
La presentazione si è conclusa con una serie di domande sull’India modello “Chi vuol essere milionario?”, con i ragazzi che indovinavano in coro tra 4 alternative. La presentazione doveva durare un’ora, su richiesta dei ragazzi abbiamo usato tutto il nostro materiale e abbiamo finito dopo più di 2 ore e mezza. Alla fine applausi per tutti, foto ricordo, e anche qualche complimento entusiasta.
L’ultimo giorno abbiamo anche fatto dei video per i nuovi volontari, per spiegare loro come fare delle presentazioni migliori, e un po’ di regole e suggerimenti per la loro permanenza a Chaytania Kul. Il montaggio lo abbiamo affidato ad Aman, l’esperto di media e social media del gruppo.
Frisbee agonistico: un’altra nuova esperienza
Stare con a Chaitanya Kul ci ha fatto scoprire anche uno sport che ignoravamo: il frisbee agonistico. I ragazzi hanno iniziato a giocare circa un anno fa, e per loro è diventata una cosa seria. Si allenano tutti i giorni, 7 giorni su 7. Hanno partecipato a un paio di tornei, e li hanno vinti. Adesso si stanno preparando a un grande torneo a New Delhi, e sono concentratissimi.
Come si gioca a frisbee agonistico? Cercherò di riassumere.
Ci sono due squadre, di 6 giocatori ciascuno. Per segnare un punto bisogna portare il frisbee fino in fondo al campo avversario, un po’ come fare meta a rugby. I giocatori si passano il frisbee cercando di arrivare a meta, chi riceve il frisbee deve fermarsi e passarla, e solo dopo può tornare a muoversi. L’altra squadra cerca di intercettare i lanci, basta anche solo toccare il frisbee. Non vale il gioco fisico, niente placcaggi o blocchi.
L’allenamento è ogni mattina alle sette e mezza, in un campo di terra spesso coperto di nebbia. E’ importante per i ragazzi, e sembra divertente, quindi anche noi ogni mattina abbiamo inforcato una bici e affrontato le strade piene di buche che portano al campo.
Giro di riscaldamento, stretching, e fatte le squadre si inizia a giocare. Per quasi un’ora e mezza! Dopo decenni di esercizio fisico saltuario, questo ritorno all’agonismo è stata… un’agonia. Alla fine mi sono divertito un sacco, anche se le giocate di qualità sono state poche, ed ero il più lento in campo. Maledetti ragazzini pieni di energie e di voglia di correre…

Cosa ricorderò di queste partite?
- L’energia inesauribile dei ragazzi, che galoppavano su e giù mentre io mi trascinavo imbolsito
- I ragazzi che correvano sul terreno sassoso a piedi nudi, come fosse niente
- La gioia e l’agonismo che mettevano in tutte le giocate
- il “cerchio” a fine allenamento, in cui ognuno diceva come era andata, di cosa era contento/a e cosa voleva migliorare
Quanto è difficile rinunciare alle comodità
Stare per giorni in questo centro per ragazzi in un paesino sperduto non è stato sempre facile. Devo dire che ci ha messo alla prova, anche dopo diversi mesi passati in India. Ci sono delle comodità che diamo per scontato ma che non lo sono affatto.
Uno dei problemi più grossi sono state le zanzare. La prima notte abbiamo dormito senza la rete antizanzare, ed è stato un errore che non abbiamo ripetuto. Assaliti dalle maledette succhiasangue, sono finito con la coperta sopra la testa, e l’unico spiraglio per respirare protetto dalla mia mano. Quella mano, i giorni successivi, sarà costellata da almeno trenta puntini rossi.
Il problema che non ti aspetti è il freddo. Gennaio in India non è freddo come da noi, ma è più freddo di quanto ti aspetti dall’India. Quando non c’è il sole le temperature scendono di brutto, e le case indiane non hanno il riscaldamento. Tra le cinque del pomeriggio e le nove del mattino non te la passavi troppo bene. Per fortuna avevamo i nostri giubbotti pesanti, comprati per l’occasione a Bodhgaya…
I primi giorni c’è stato anche un problema con la fornitura dell’acqua. A quanto pare tutti quelli che possono permetterselo hanno una fornitura “privata”, e allora tutto bene. Ma se questa ha qualche problema devi affidarti al servizio pubblico, che però non funziona tutto il giorno.
Quando è disponibile l’acqua del servizio pubblico?
12 minuti al giorno.
12 minuti.
E non si sa neanche quando, ti arriva un avviso mezz’ora prima e devi stare pronto a prenderne il più possibile.
Per fortuna dopo un paio di giorni tutto è tornato a posto, e abbiamo avuto il lusso di poter lavare i piatti e farci la doccia senza misurare l’acqua con il contagocce!
E lavorare in un centro come quello di Satyam è difficile anche per un altro motivo: gli orari.
Dormire dopo le cinque è molto difficile, perché verso quell’ora iniziano i canti delle moschee e le scampanate del tempio indù vicino… I ragazzi iniziano ad arrivare alle sei e mezza, e si parte subito forte, con le pulizie e le attività. Non ci sono pause fino a sera, con gli ultimi ragazzi che se ne vanno sulle otto e mezza. Tra una cosa e l’altra si va a letto tardi, e la mattina dopo si parte di nuovo.
Perché adattarsi a tutto questo? Per ricordarsi di quanto siamo fortunati per tutto il resto dell’anno, quando queste scomodità sono solo un ricordo dell’avventura indiana. Ma soprattutto per un altro motivo.
Cosa rende tutto sopportabile: i ragazzi

Alla fine tutti i problemi finivano in secondo piano grazie ai ragazzi. Passare del tempo con loro, prendere parte alle loro vite, far parte della loro “famiglia” bastava a far dimenticare un bel po’ di scomodità.
Ci siamo sentiti davvero accolti e subito presi dentro il gruppo, come se fossimo lì da tempo e non da poche ore o pochi giorni. Il loro entusiasmo e la loro voglia di vivere erano contagiosi, e alla fine ci trovavamo a sorridere e a ridere con loro nonostante tutto. Sarà un cliché, ma mi sono sentito anche io tornare giovane per un po’.
E’ stato anche molto bello vederli entusiasti e felici dei corsi “artistici” organizzati da Alessia. Volevano imparare, si divertivano, e spesso restavano molto oltre l’orario previsto di fine corso per fare il più possibile. Satyam ha detto ad Alessia che dopo la prima ora poteva almeno prendersi una pausa. Ma lei ovviamente è rimasta con loro fino all’ultimo minuto utile.
E quando è stato il momento di ripartire i ragazzi ci hanno accompagnato in stazione e hanno aspettato il treno con noi. Ci sono stati lamenti e richieste di tornare, e tornare appena possibile! Ma soprattutto ci sono stati sorrisi e risate, selfie ridicoli, anche un balletto su un remix di “Bella Ciao”…
Ci hanno portato fino ai nostri posti, e siamo tornati alla porta per salutarli. E questo è stato il nostro ultimo ricordo di loro. Il treno che lentamente esce dalla stazione, noi affacciati della porta aperta, e i ragazzi che si sbracciano per salutarci, gridando che ci aspettano presto.
Non li dimenticheremo mai.