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Homestay nel Kutch: parte della famiglia

Come abbiamo scritto in altri post, il Kutch è stata una delle esperienze più speciali che abbiamo fatto in un viaggio pieno di esperienze speciali.

Il deserto, gli artigiani, i workshop… ma quello che ha fatto davvero la differenza è stato vivere qualche giorno con la famiglia di Kuldip. Con loro “homestay” non era solo dormire in casa loro, ma condividere la loro vita e far davvero parte della famiglia.

Una esperienza davvero diversa dalle altre. E siamo partiti con il botto già dal primo giorno…

Sei in famiglia quando… dormi in anticamera

Il nostro homestay era ai confini della città, quindi arrivare ha richiesto un po’ di impegno, una chiamata, qualche giro a vuoto del rickshaw. 

Siamo arrivati in anticipo rispetto ai programmi, quindi l’unica stanza libera era occupata. Ma nessun problema, c’è un piano di riserva. C’è un altro letto, solo che… è in anticamera.

Sali le scale, entri al primo piano, ed ecco il letto. Grande, comodo, e ha anche una tenda davanti per garantire la privacy. Cosa possiamo volere di più?
Io sono perplesso, ma Alessia è inspiegabilmente entusiasta, quindi mi adeguo. Sul letto c’è anche un cuscino ricamato con il Piccolo Principe, e per Alessia questo elimina ogni possibile dubbio. 

Alla fine siamo stati bene, era una nicchia comoda e calda dove abbiamo dormito di gusto.

L’ospite che ci precede è un musicista francese che fa ogni anno un viaggio in India per farsi ispirare dai ritmi e dalle melodie indiane. La sera abbiamo cenato tutti insieme, poi ha preso il suo strumento (che ha un nome, ma non lo ricordo più) e si è messo a suonare. Ha improvvisato mentre Ankita (la moglie di Kuldip, che gestisce l’homestay) cantava canzoni classiche indiane, e poi ha anche duettato con loro figlio, che suona le percussioni.

Devo dire che come inizio è meglio che fare check-in alla reception, chiedere la password del wi-fi, e controllare la stuazione delle lenzuola della tua nuova stanza.

Sei in famiglia quando… mangiate tutti insieme

Nei giorni successivi abbiamo mangiato colazione, cena e a volte anche a pranzo con loro. Abbiamo consumato quantità incredibili di chapati in tutti i modi e con tutte le salse. 

Una sera in particolare siamo tornati e abbiamo visto la nonna in cortile, davanti a un forno di terracotta con un fuoco di legna. Impastava e cucinava millet bread, un tipo di pane indiano particolare tipico del Rajasthan, che ci piace tantissimo.

Siamo stati intorno al fuoco per sfuggire al freddo della sera, a parlare un po’ e a guardarla all’opera. Abbiamo anche mangiato così, con il fuoco come unica luce, con la nonna e Ankita. 

Abbiamo parlato molto della famiglia, dei matrimoni indiani, delle usanze che hanno… abbiamo imparato un sacco di cose che altrimenti non avremmo mai saputo. Su come pensano, su come si comportano con i familiari, su cosa ci si aspetta dai figli, su cosa fare e non fare a un matrimonio…
Noi abbiamo sfoggiato un po’ di foto del nostro matrimonio, e abbiamo raccontato come sono le cose da noi.

Forse è stato da quella cena che i programmi sono un po’ saltati. Abbiamo smesso di cercare di riempire le giornate con tutte le avventure possibili e immaginabili, e abbiamo iniziato a vivere la nuova situazione così come veniva. Ne abbiamo guadagnato delle esperienze che non si fanno in nessun viaggio organizzato.

Sei in famiglia quando… dai una mano

La mattina dopo, ad esempio, siamo andati in terrazza a fare colazione per approfittare del sole. Lì c’erano dei mung beans della loro fattoria, messi a seccare. Sono una specie di piselli, quando sono secchi abbastanza rompono i bacelli, raccolgono questi mini fagiolini, e poi li usano per fare qualcosa di simile a una minestra di verdure.

E così dopo colazione ci siamo messi tutti insieme a sbucciare e ripulire i fagiolini: Ankita, Kuldip, Alessia ed io. Ci sono volute un paio d’ore circa per ottenere un chilo, un chilo e mezzo di legumi. E alla fine ci siamo divertiti anche così, a fare lavori “di campagna”.
Mi ricordo che da piccoli sbucciavamo enormi quantità di piselli con la nostra nonna paterna, tutti insieme in cucina. E’ stata una cosa un po’ così.

Siccome i discorsi finivano spesso sul cibo, ci hanno chiesto cosa ne pensavamo della pizza indiana. Mettiamo da parte la loro passione per la pizza di Domino’s, perché mi fa spavento pensare che le alternative locali sono peggiori…

Quando abbiamo detto che ogni tanto facciamo la pizza a casa (più una focaccia, in realtà), è venuta fuori l’idea che avremmo potuto farla anche lì in India. E così una sera ci abbiamo provato. 

Il pomeriggio siamo andati a comprare gli ingredienti, e poi abbiamo fatto l’impasto. O meglio, lo ha fatto la mamma di Kuldip, che ha decenni di esperienza nell’impastare il chapati.
La sera poi ci siamo messi d’impegno, anche se non è stato facile. Gli ingredienti erano tutti diversi, e il forno era un aggeggio antiquato che hanno tirato fuori da un armadio…

Nonostante il pessimismo, e dei tempi di preparazione lunghissimi, alla fine siamo riusciti a mettere in tavola due teglie.
E così, forse per la prima volta in tutti i nostri viaggi, abbiamo mangiato la pizza fuori dall’Italia (spoiler alert: non sarà l’ultima volta).  Ed era la nostra pizza: abbiamo fatto la pizza in India!

Come è venuta?

Secondo me non è venuta affatto male, considerati gli svantaggi e le problematiche della situazione. La famiglia ha apprezzato, chi più e chi meno. La nonna ha assaggiato e poi fatto il bis, mentre il figlio ha lamentato il troppo poco formaggio.

Alessia era meno convinta di me, ma come ha detto Ankita: loro non sanno come è la vera pizza, quindi per loro questa è la migliore pizza italiana possibile!

Sei in famiglia quando…  passi il tempo insieme

Con il passare dei giorni ci siamo trovati a passare il tempo con la famiglia.

Un pomeriggio siamo saliti in macchina con Kuldip, Ankita, loro figlio e una loro amica e siamo andati fino alla loro futura fattoria. Per ora è un terreno poco curato con una tettoia di bambù e una distesa di piante che non ho mai visto in vita mia. Siamo stati lì a parlare un pò, rilassarci, guardarci intorno, e ammirare il sole che tramontava.

Un’altra sera siamo tornati mentre i giovani erano fuori per qualche impegno. Abbiamo cenato con i nonni. Si vedeva che la nonna aveva voglia di parlare, quindi Alessia si è messa d’impegno con il suo inglese. 
La nonna è una vecchietta sprint, e ci ha raccontato che nel pomeriggio si sono ritrovati con altri anziani al parco, e lei si è lanciata nel karaoke. E’ grande appassionata di musica e adora cantare, e il video che ci ha mostrato lo conferma. 
Ci ha anche consigliato un filmone indiano dei primi anni 2000 ambientato anche in Italia. Al nostro ritorno proverò a cercarlo.
E’ andata a trovare un altro figlio in Inghilterra nel periodo di Natale. Siccome i nipoti non parlano hindi, lei si è messa a guardare i cartoni animati per imparare un po’ meglio l’inglese.

Il nonno era molto più riservato, ma ogni tanto faceva una domanda o una osservazione, e a fine cena ci ha offerto orgoglioso dei datteri di importazione, che erano buonissimi.

Adesso che ci ripenso mi ricordavano un po’ i miei nonni materni. Per fortuna non me ne sono accorto subito, o mi sarei emozionato troppo.

Una volta avrei considerato questi momenti come “tempi morti”, ma sono invece ricordi speciali da portarsi a casa.

Sai in famiglia quando… te ne vai solo all’ultimo minuto

I nostri programmi per l’ultimo giorno erano abbastanza chiari: fare gli ultimi acquisti, preparare i bagagli, magari rilassarci un pò, e andare a prendere il treno la sera. Ma ovviamente non poteva andare così.

Prima di tutto, lo shopping è durato più del previsto, e siamo tornati verso sera carichi di borse, dopo aver girato tutto il giorno.

Pensavamo di comprare qualcosa da mangiare in treno, ma la nostra nuova famiglia ha voluto preparare un’ultima cena da mangiare insieme. Siamo rimasti a mangiare e parlare quanto possibile, e forse anche di più. 

Alla fine non potevamo più aspettare. Abbiamo salutato i nonni e ci siamo messi in macchina con Kuldip e Ankita, che ci hanno accompagnato fino alla stazione. Qui ci siamo fatti gli ultimi saluti e gli ultimi auguri, a noi per un buon viaggio, a loro per la buona riuscita dei nuovi progetti. 

Sono riusciti anche a stupirci un’ultima volta, con un piccolo regalo “artigianale”: un fazzoletto con un ricamo fatto a mano da parte di una loro amica artigiana dell’associazione di Kuldip. Abbastanza da commuovere Alessia, e rendere ancora più emozionale il momento.

Ripartiamo verso il resto dell’India lasciandoci indietro un pezzetto di cuore, che resta nel Kutch con una famiglia davvero speciale.

2 commenti su “Homestay nel Kutch: parte della famiglia”

  1. Oh bravi così va bene: le persone e la vita quotidiana spesso riservano tante sorprese positive (che le guide turistiche non ti dicono mai).
    E poi, seguendo il vostro racconto, si capisce che non c’è solo un’India ma che ci sono molte Indie – e forse anche questa è una bella cosa.

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