In questo viaggio in India abbiamo avuto modo di vedere tanti, tanti indiani. Li abbiamo visti vivere, andare in giro, fare commissioni, studiare, lavorare, fare affari.
Quello che non si pensa è che non si limitano, e non si limiteranno, a starsene in India. Sempre più giovani indiani, formati e professionalizzati, partono per lavorare in tutto il mondo.
Negli Stati Uniti, dove da decenni riempiono le aziende tecnologiche. Microsoft e Google sono guidati da indiani, non certo perché erano gli unici due indiani bravi, ma erano solo i migliori di un folto gruppo.
In Gran Bretagna, con cui hanno rapporti da secoli. Il loro ex primo ministro era di origini indiane, e anche il sindaco di Londra.
Perfino l’Italia ha annunciato di voler “importare” migliaia di infermieri indiani per i propri ospedali.
Quindi dobbiamo prepararci a un’invasione di indiani a caccia dei nostri lavori? La risposta breve è: probabilmente sì. Il mondo è sempre più connesso, loro sono sempre più preparati e formati, e ormai la concorrenza sul lavoro non ha confini.
Altro che immigrati africani che “ci rubano il lavoro”: è una narrativa becera, ma soprattutto limitata e stupida. Il vero pericolo sono immigrati regolari, che potrebbero essere più formati, più bravi e più “affamati” di noi.
Ho cercato di analizzare e capire questi nostri possibili competitor futuri. Una cosa mi preoccupa più di tutto: quanto si impegnano per migliorarsi. Una cosa mi tranquillizza: come lavorano.
Vediamo meglio come sono fatti questi nostri concorrenti.
Gli indiani possono venire a fare i nostri lavori? Sì, perché…
Sempre più indiani che vanno a lavorare all’estero. Perché? Se si pensiamo, è abbastanza ovvio. Sono tantissimi (primo paese al mondo per popolazione), con tantissimi giovani.
Il primo ostacolo per lavorare all’estero è la lingua. Ma loro sono multilingua dalla nascita. Hanno una decina di lingue ufficiali e centinaia di lingue e dialetti locali. L’hindi è la lingua più parlata e insegnata a scuola, ma in realtà è una creazione recente e non la parlano tutti. Così spesso i ragazzi crescono imparando a parlare diverse lingue.
La vera lingua che viene insegnata a tutti, e la vera lingua franca dell’India è l’inglese. E una volta che sai quello, puoi puntare ad andare a lavorare un pò in tutto il mondo.
Il secondo ostacolo per lavorare all’estero sono le competenze: devi essere più bravo dei locali, altrimenti perché dovrebbero prendere uno straniero?
Le scuole indiane stanno migliorando rapidamente, ma soprattutto gli indiani studiano tantissimo. Tutto il sistema scolastico è organizzato per graduatorie e classifiche. I primi in classifica, i migliori, hanno più possibilità di andare nelle migliori scuole, eventualmente di studiare all’estero, e così via. E’ un sistema molto severo, che probabilmente penalizza i più poveri, ma che “funziona” nel senso che spinge gli studenti a fare tutto il possibile.
Così ci sono i migliori ragazzi di un paese, formati nelle migliori scuole, che vengono a cercare i lavori migliori disponibili nei paesi ricchi. I nostri lavori.
Per fortuna, hanno un paio di problemi che devono ancora superare.
Perché gli indiani non possono (ancora) fare i nostri lavori
E’ vero: gli indiani imparano l’inglese più di noi, e hanno molte più occasioni di praticarlo. Io ho parlato inglese fuori dalla classe solo negli ultimi anni delle superiori, e solo in poche occasioni in cui ero all’estero. Loro si mettono a parlare con gli stranieri che vedono in giro quando hanno meno di dieci anni, e lo parlano spesso anche tra loro.
Ma! C’è un grosso “ma”. L’inglese che parlano è, senza eufemismi, un pessimo inglese. La pronuncia spesso è quasi incomprensibile, la costruzione delle frasi è problematica, sanno le parole e le frasi fondamentali ma non molto altro.
Abbiamo parlato a lungo con uno studente universitario che è stato all’estero più volte, il nostro amico Sadik, e anche lui pronunciava alcune parole in maniera platealmente sbagliata. Ad esempio per dire “what”diceva “vat” invece di “uat”, cose che i nostri insegnanti non fanno passare liscia.
Ecco perché per ora non sono preoccupato. Questo esercito di ragazzi indiani parlano veloci e mangiandosi le parole, ma credo che il nostro inglese lento e all’italiana sia comunque più comprensibile. Se non altro perché noi siamo consapevoli del nostro inglese limitato, mentre loro sono convinti di saperlo parlare benissimo.
C’è un altro fattore che gioca a nostro favore. Certo, nelle grandi aziende e nelle multinazionali i sistemi e le procedure dovrebbero permettere di assumere il candidato migliore anche se arriva da un altro paese. Ma ogni luogo (stato, regione, città) ha le sue particolarità e le sue regole non scritte. Fanno parte di quella conoscenza tacita che non ti dice nessuno, ma che quelli del posto assorbono crescendoci dentro.
Possono essere cose banali come il modo di salutare (gli indiani non sanno stringere la mano per presentarsi, lo imparano per noi) o possono essere cose più importanti come il comportamento sul posto di lavoro. Non è propriamente equo, ma anche questo fa parte della competizione e ci avvantaggia nel tenerci stretto un lavoro in Italia.
Ma non è finita. Vediamo meglio come gli indiani lavorano…
Gli indiani possono lavorare meglio di noi? Sì, perché…
Mentre nelle scuole europee si discute di togliere i voti per non traumatizzare i bambini, in India li si butta in un gran torneo di Hunger Games dove solo i primi in classifica potranno avere le migliori opportunità.
E più tardi le cose non cambiano. Devono sempre competere con tantissimi concorrenti per un numero limitato di lavori interessanti, e un numero un pò meno limitato di lavori che pagano decentemente.
Quindi sono abituati a darsi da fare, e non hanno le nostre stesse aspettative su orari e quantità di ore lavorate. Mi pare di capire che gli uffici hanno degli orari abbastanza simili ai nostri, almeno gli orari di apertura al pubblico.
Ma i negozi aprono in tarda mattinata e rimangono aperti tutto il giorno fino a sera, spesso anche oltre le nove di sera. Credo che questo sia quello a cui sono abituati: lavorare tutto il tempo necessario e anche di più.
E un’altra cosa che ho imparato da negozianti, autisti e signore che vanno al mercato: sono degli esperti della contrattazione. E’ qualcosa che imparano quando sono ancora bambini e che poi affinano in tanti anni di trattative che si giocano su pochi centesimi, tutti i giorni, su ogni cosa.
Sono bravi con i numeri, bravi a girarti la frittata, a usare i sentimenti, a fare le sceneggiate, a fare gli amiconi o gli offesi secondo necessità. Noi in questo siamo spaventosamente impreparati…
Ma non disperiamo! Perché gli indiani hanno anche due comportamenti che ogni tanto ci fanno impazzire, e che farebbero impazzire anche qualunque datore di lavoro o capoufficio.
Perché gli indiani non lavorano meglio di noi (per ora)
Abbiamo notato due grossi difetti nel guardare gli indiani che lavorano.
Primo difetto: lavorano un pò a caso, senza badare molto al risultato di quello che fanno.
Le persone che puliscono spazzano le immondizie a lato alla meno peggio. Rompono il cemento senza usare un minimo di segni, e la canalina diventa un percorso pieno di curve. Mettono a posto qualcosa, ma senza guardare a dove la mettono. Potrei fare mille esempi. Ma in generale tendono a farsi vedere mentre lavorano, più che a ottenere dei risultati. Oppure tendono a seguire lo scarso addestramento ricevuto, ma senza applicarlo alla situazione, seguono i vari passaggi in maniera meccanica.
Secondo difetto, quello che mi fa davvero diventare pazzo: non guardano le consegne.
Se scrivete a un indiano e gli chiedete tre cose, di solito vi risponde a una sola. Così gli scrivete ancora, e vi arriva un altro pezzo di risposta. E così via, sempre più vicini a una risposta definitiva, ma senza mai arrivarci.
Mi è successo ancora e ancora, con indiani di diverse zone, che facevano diversi lavori, quindi mi sa che sono proprio così.
Ho avuto esperienze simili su Upwork, una piattaforma per trovare lavoratori di tutto il mondo per esternalizzare alcuni compiti. Ho chiesto un paio di volte a lavoratori indiani di fare un certo tipo di lavoro. Ho preparato istruzioni dettagliate, ho mandato esempi, ho pensato a tutti i possibili dubbi, e così via.
Ogni volta mancava qualcosa, o partivano bene e poi la precisione iniziava a calare, o facevano errori grossolani perché cercavano di fare il meno possibile. Ogni volta ho dovuto controllare minuziosamente quello che mi mandavano, e chiedere più volte di sistemare le parti sbagliate.
Solo pensare di avere un dipendente che richiede tanto impegno tutti i giorni mi fa sentire stanco.
Questi atteggiamenti possono darci un vantaggio, se sapremo invece lavorare bene ed essere autonomi nell’eseguire i compiti.
Quindi siamo salvi? Non è detto: sono difetti difficili da “curare”, ma non impossibili. E quando si parla di migliorarsi…
Gli indiani possono migliorare più di noi? Sì, perché…
Ho notato una cosa molto interessante sugli indiani: sono grandissimi consumatori di libri di miglioramento personale.
I negozi di libri che abbiamo visto ne hanno un sacco, fatti da autori locali ma anche tantissimi titoli che vengono dall’America, anche molto recenti e ben fatti.
Ne comprano tanti, e li ho visti anche leggerne, in treno o in altre situazioni.
Non tutti possono essere d’accordo sull’utilità di questo tipo di libri. Tanti sono effettivamente delle cavolate, o delle banalità. Ma secondo me possono dare intuizioni utili, best practise, idee. Alcuni danno delle informazioni che secondo me dovrebbero insegnare a scuola. Su come funziona la mente, su come pensare meglio, su come imparare meglio.
E’ da alcuni di quei libri che ho scoperto la meditazione e ho iniziato a praticarla, e anche solo per questo è valso la pena leggere tanti libri che invece sono stati inutili.
E a proposito di meditazione…
Gli indiani sono nati nella patria della meditazione.
Io l’ho scoperta tardi, e ci ho messo anni a sentirne i benefici, ma secondo me è uno strumento molto potente per lavorare sulla nostra mente e può cambiarti la vita.
Noi dobbiamo studiare e faticare moltissimo per fare progressi, se mai ci riusciamo e se siamo abbastanza fortunati da capirne i vantaggi. Loro nascono in una cultura dove pratiche simili sono normalissime, dove la mindfulness la imparano prima ancora di andare a scuola. E’ un altro grosso vantaggio che hanno su di noi.
Questa spinta a migliorarsi degli indiani mi preoccupa molto. Perché mette una gran pressione addosso sapere che ci sono persone che si sbattono ogni giorno per cercare di diventare meglio di te.
Ma per nostra fortuna credo che anche qui ci siano un paio di fattori che giocano a nostro favore.
Perché gli indiani non ci supereranno
La meditazione apre la mente, lavorare su se stessi ti rende migliore, la spinta a migliorarsi è importante per evolvere.
Ma la spinta a migliorare, per essere veramente efficace, deve venire da un sentimento di inferiorità. Se credi di essere meno bravo, meno capace degli altri concorrenti ti darai da fare ancora di più, per superarli nell’impegno se al momento non puoi vincere con il talento.
E in questo gli indiani potrebbero essere, inaspettatamente, in svantaggio.
Gli indiani hanno un forte orgoglio per la loro nazione, la loro cultura, la loro civiltà. Questo viene fuori spesso parlando con loro, sia con le persone di cultura che con le persone più normali, del “popolo”. Amano il loro paese, credono che la loro civiltà sia la più antica, la più giusta, la più evoluta. Possono riconoscere dei difetti da migliorare, ma non si sentono secondi a nessuno.
E questo sentimento si trasmette in un pò di superbia, il pensare che comunque sono già migliori degli altri, se gli altri sono stranieri.
Ma c’è un altro punto debole che non riusciranno a superare facilmente. Anzi, potrebbe aggravarsi e danneggiarli ancora di più con il tempo.
Parlo della loro dipendenza dai cellulari.
Noi magari ci preoccupiamo del tempo che sprechiamo al telefono, o di quanto i nostri bambini stanno davanti allo schermo. Ma non è nulla in confronto al rapporto degli indiani con il loro cellulare.
Lo usano in continuazione. Si telefonano e si scrivono in continuazione. Si fanno selfie e foto ad ogni occasione. Guardano una marea di video. Se hanno un attimo di tempo tirano fuori il telefono e si perdono in quello.
Per i bambini è lo stesso. I genitori hanno un approccio molto laissez faire con loro, quindi tendono a tenerli buoni mettendo su un video e piazzandoli davanti al cellulare, ancora di più che qui in Italia.
Secondo me questo avrà conseguenze devastanti sulla loro capacità di concentrazione, sulla tendenza a procrastinare, e su quanto tempo ed energie potranno dedicare a migliorarsi, studiare, e in generale a superarci nel mondo del lavoro.
Forse non hanno i nostri stessi “anticorpi”, noi che veniamo dalla televisione, dal pc, dai videogiochi e altri media simili. Loro si sono trovati di colpo in mano uno strumento pervasivo che divora la tua attenzione.
E questo potrebbe essere la nostra salvezza.
Gli indiani ci conquisteranno? Dipende…
Confesso che sono un pò preoccupato di quello che il futuro potrebbe portarci. E’ difficile calcolare il possibile impatto, così come era e rimane difficile calcolare che impatto avrà sul nostro lavoro l’intelligenza artificiale.
Negli scenari peggiori (per noi), ci troveremo una marea di ragazzi indiani formati, skillati, e affamati a competere per le nostre stesse posizioni. Mi immagino parecchi datori di lavoro pronti a trovare il modo di approfittarne.
Negli scenari migliori gli indiani si troveranno a competere più con le intelligenze artificiali che direttamente con noi. Andranno a fare quel tipo di attività più facili da esternalizzare, ma senza riuscire a competere sui compiti più complessi e meno definiti.
Credo che alla fine la capacità di produrre risultati, di fare un lavoro di qualità, operando in autonomia, senza necessità di supervisione, rimarrà un modo sicuro per essere impiegabili. Aumenta la quantità di concorrenza, ma non riuscirà a competere con la qualità.
Ciao analisi corretta
Ho sentito imprenditori che esprimevano lo stesso giudizio.
Soprattutto sono imbattibili (quasi) nella contrattazione.
Ciao
Ciao
Leggo sempre con molto interesse quello che scrivi