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Homestay a Orchha: vivere in vera casa indiana

Nel nostro viaggio in India ci siamo fermati a Orchha, una piccola cittadina a sud di Agra, a ovest di Khajuraho. Abbiamo scoperto che è anche molto frequentata di turisti, spesso italiani.

Abbiamo dormito in un homestay di una famiglia davvero speciale, che ci ha fatto sentire un pò a casa anche se lontani da casa. E stavolta la nostra sistemazione è stata più “avventurosa” del solito. Abbiamo scoperto che possiamo rinunciare a tante comodità che riteniamo fondamentali e stare bene lo stesso.

Vediamo questo nuovo homestay e come è fatta una vera casa di campagna indiana.

La stanza in un homestay indiano

La nostra stanza era molto carina. Grande, spaziosa, con un tavolino e due sedie, un letto molto grande, un sacco di interruttori (agli indiani piacciono gli interruttori).

Certo, a guardarla bene c’erano alcuni dettagli che la rendevano ancora più particolare. Le pareti erano di fango, ma questa ormai non è pù una novità per noi. C’era una finestra poco isolata, e anche questa non è una novità. 

C’erano due porte, e questo sì, non ci era ancora successo. Entrambe le porte lasciavano passare il freddino della sera, ma una aveva chiuso le fessure peggiori con lo scotch, quindi l’impegno c’è.

Ma il vero pezzo forte è il tetto di coppi. Guardi in su e ci sono dei teli. Ancora più in alto, in trasparenza, vedi i coppi del tetto. Così, de botto, senza isolanti di nessun tipo.

E se, mettiamo caso, una notte si mette a piovere, senti il piacevole picchiettare della pioggia. E vedi l’aqua che cola lungo i muri, anche se per fortuna non è arrivata sulle nostre cose. 

Il letto in un homestay indiano

Il letto nella camera non poteva ovviamente essere da meno. Non era un banale letto come i nostri, ma era un letto tradizionale indiano, il charpoy. Praticamente una brandina fatta intrecciando strisce di corda. Sopra c’era un sottile materasso, e sopra un piumino spesso, e una coperta pesantissima ma che teneva tanto caldo.

Certo non era comodissimo ed era duro come una tavola, mentre il cuscino è sottile e morbido che quasi non lo senti, ma alla fine ti abitui.

Avevo detto che il letto era grande, specifico che era enorme… in larghezza. Non riuscivo quasi a raggiungere Alessia, e visto che erano due charpoy spinti insieme, non era possibile incontrarsi nel mezzo perché sentivi la struttura di legno sotto la schiena.

In compenso il letto sarà stato lungo un 1 metro e 80 centimetri scarsi, quindi se mi allungavo i piedi mi uscivano e stavano al freddo… 

Il bagno in un homestay indiano

Per la prima volta da quando siamo partiti, abbiamo preso una stanza con un bagno condiviso. Fuori da una delle porte della nostra camera c’era un portico che portava alla stanza della doccia e alla stanza del gabinetto. Il lavandino lo hanno lasciato fuori sul portico. Alla fine era tutto molto pulito e molto comodo, meglio di tanti altri bagni che abbiamo visto in questo viaggio.

Certo c’erano anche qui delle particolarità. Di una parlerò un pò più avanti. Qui ricordo solo che la doccia non era collegata all’acqua calda. Se volevamo questo lusso chiedevamo alla famiglia, che ci forniva una tinozza riempita di acqua caldissima, da mixare con l’acqua fredda del rubinetto. E poi te la versi addosso, e gli indiani di solito fanno la doccia così. 

Io lo trovo molto scomodo, ma per non andare sotto l’acqua fredda della doccia mi sono adattato volentieri.

I vicini di camera in un homestay indiano

Anche in un piccolo homestay può capitare di avere dei vicini di camera. Non solo la famiglia, quello è ovvio. Parlo di vicini molto più interessanti.

Sotto una tettoia c’è il vitellino Pushpi (in hindi significa: un essere adornato di fiori, che rappresentano bellezza e abbondanza, e serve come una incarnazione dello splendore della natura e degli attributi divini. L’hindi può avere dei termini molto ricchi di significato).

Il vitellino è senza mamma, che è morta 15 giorni dopo il parto, ma sta crescendo piano piano mangiando cibo nutriente e latte dal suo biberon. E quando fa freddo sta sotto la sua coperta, perché se gli umani hanno freddo e si coprono, perché non dovrebbe fare lo stesso anche lui?

E non è l’unico animale che ti fa compagnia. Non dimenticarti che ogni volta che vai in bagno, se alzi lo sguardo, ti trovi a fissare gli occhi scuri di… tre gechi. Stanno acquattati sugli angoli del bagno, probabilmente a caccia di insetti,e quando accendi la luce ed entri ti fissano. E ti giudicano (probabilmente).

Erano due, poi sono diventati quattro, e alla fine erano tre. Non sappiamo bene da dove siano arrivati gli altri, né dove sia andato il quarto. Ogni viaggio in bagno poteva essere una sorpresa.

E infine ci sono i cani, che vengono in visita due volte al giorno. Gli indiani sono molto buoni con i cani, e hanno le loro regole. Ad Orchha la regola era: il primo chapati è per la mucca, l’ultimo è per il cane.
E due cani si presentavano con regolarità a chiedere il loro chapati. Entravano in cortile, si piazzavano fuori dalla porta della cucina, e scodinzolavano in attesa del loro spuntino. 
Quando arrivava, mangiavano, e poi trotterellavano via. Educati, silenziosi e coccolosi.

La sala da pranzo in un homestay indiano

Quando è ora dei pasti, puoi dirigerti verso la sala da pranzo. Non i noiosi saloni degli alberghi, con il loro design asettico, i loro tavoli, le sedie, e tutte quelle cose inutili.

In un homestay come quello di Orchha si mangia in cucina, con il resto della famiglia.
C’è un bel fuoco per cucinare i chapati che ti scalda. C’è la porta aperta per fare uscire il fumo, che ti raffredda. I ripiani servono per appoggiare le cose, ma si cucina per terra, che c’è più spazio.
E si mangia per terra, basta una stuoia sotto il sedere. Sei anche vicino ai fornelli e al fuoco, così basta un attimo per avere un bis di ogni cosa.

Come siamo stati in homestay indiano “estremo”

Riassumendo: stanza che fa entrare pioggia, letto che è poco più una brandina, notti fredde e tempestose, bagno condiviso, animali dappertutto, mangiare per terra…

Sembra una ricetta per un soggiorno da incubo. E invece siamo stati benissimo, e non volevamo più partire. 

La stanza era grande e comoda, le coperte ci tenevano al caldo, le lenzuola erano vecchie ma pulite, il bagno era tra i migliori che abbiamo avuto in India, gli animali facevano compagnia.

Quello che ha fatto la differenza è stata la famiglia. Kiran, Surendra, e soprattutto la loro figlia Kushi sono stati super accoglienti dal primo all’ultimo minuto, e così quelli che potevano essere scomodità sono diventati avventure divertenti.

Abbiamo vissuto su noi stessi quello che milioni di indiani vivono ogni giorno, e abbiamo anche avuto il vantaggio di arrivare nella breve stagione fredda, quando le temperature sono sopportabili. Vivere così tutti i giorni, con 9-10 mesi di caldo torrido… questi giorni ci hanno fatto capire quanto siamo fortunati, e quanti lussi diamo per scontato.

1 commento su “Homestay a Orchha: vivere in vera casa indiana”

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