Vai al contenuto

Darshan: il momento sacro indù che non ci aspettavamo!

Perché non ce l’aspettavamo? Perchè in entrambi i casi siamo capitati un po’ per caso. La prima volta eravamo già dentro al tempio a curiosare, mentre la seconda volta siamo stati colpiti da una folla che si stava raggruppando davanti ad un tempio.

Ma partiamo dal principio. Che cos’è il Darshan?
Non lo sapevamo neanche noi fino a qualche giorno fa! Darshan significa “mostrare, apparire”, è il vedere con i propri occhi la statua della divinità o altri oggetti sacri importanti (qualcosa in più su Wikipedia, se interessa). Questa visione per gli induisti è un momento molto importante perchè credono che la divinità sia presente nell’immagine e vederla permette loro di ricevere le benedizioni divine.

E questa forte convinzione l’abbiamo vista con i nostri occhi.
Nei darsham che abbiamo visto i fedeli si dispongono davanti a una tenda, quasi un sipario, e attendono pazienti. All’improvviso parte una musica assordante che si mixa al boato delle urla della folla in attesa, che si ammassa alle transenne per essere più vicina e vedere meglio l’immagine sacra. Sembra quasi di essere ad un concerto

Mani alzate al cielo, urla di preghiere o mantra a noi incomprensibili, lanci di petali di fiori verso l’immagine sacra. Il tutto accompagnato dalla musica, un mix di tamburi e altri strumenti indiani che non molla un attimo e riempie di suoni tutto il tempio. 

La prima volta vediamo tutto questo dalle ultime file, dove chi non si ammassa “sotto al palco” prega alzando le braccia al cielo o sdraiandosi completamente a terra.

Davanti alla divinità vengono fatti ondeggiare (secondo me con dei ritmi e dei movimenti definiti) degli oggetti come un candelabro, un oggetto piumato ed altri due che a distanza fatico ad identificare.
Più tardi alcuni dei fiori offerti vengono distribuiti alle donne nelle prime file, credo che siano stati benedetti dall’essere stati offerti alla divinità.

La seconda volta siamo più coinvolti. Si sale al tempio per una ripida scalinata e quando si aprono le porte vieni trascinato fino in cima dalla massa che spinge e non puoi far altro che lasciarti andare alla corrente. Dentro ci dividono tra uomini e donne. Curiosa vado avanti e mi trovo un posticino. Ovviamente sono l’unica occidentale e non passo inosservata, ma quello che ricevo sono grandi sorrisi e qualche domanda. Guardo dall’altra parte e vedo che anche Carlo è preso in chiacchiere.
Quando si aprono le porte dell’immagine il caos è totale, le donne si ammassano, i bambini (giustamente) piangono, io faccio un passo indietro per lasciar strada ma vengo presa e schiacciata lo stesso pure io. Ma anche questa volta mi lascio trasportare dalle cose. Ogni tanto aiuto qualcuna a farsi spazio o stacco un velo che si impiglia nelle transenne. Qualcuna mi fa cenno di andare anch’io davanti all’immagine, ma preferisco vedere “da fuori”, almeno per ora.
Carlo ha visto diverse persone “offrire” alla statua del dio confezioni di dolcetti. Li mostravano mentre erano lì davanti e poi proseguivano oltre, che le guardie erano severe.

Siamo usciti da queste esperienze un po’ frastornati ma anche gioiosi.Mi aspettavo sicuramente qualcosa di più raccolto, forse perché io stessa associo la parola “sacro” a qualcosa di silenzioso. Ma non per gli Induisti. Loro esternalizzano la loro adorazione con estremo entusiasmo (a volte forse anche un po’ troppo), con gioia, musica allegra e anche molti colori. Forse qualcosina dovremmo prendere esempio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *